14 Mar Trasferimento d’azienda illegittimo: prima della sentenza, risarcimento previa costituzione in mora.
Un trasferimento di ramo d’azienda è stato dichiarato illegittimo, con condanna della cedente al pagamento nei confronti del lavoratore ceduto del risarcimento del danno per l’invalida cessione e delle differenze retributive maturate successivamente alla costituzione in mora. Per la Corte d’appello, la natura retributiva del credito del lavoratore ceduto che abbia vanamente costituito in mora il datore cedente, per il periodo successivo alla costituzione in mora, non è incompatibile con diritto al risarcimento dei danni da invalida cessione, per il periodo intercorrente dalla data della cessione e sino alla costituzione in mora secondo l’articolo 1217 del Codice civile.
La società ha impugnato la sentenza per aver riconosciuto importi a titolo risarcitorio anche per il periodo antecedente all’offerta formale della prestazione lavorativa e addirittura prima della sentenza che aveva riconosciuto l’inefficacia del trasferimento di ramo d’azienda. La società ricorrente ha evidenziato l’incongruenza della soluzione adottata dalla Corte d’appello, per cui, a seguito di una sentenza che dichiari l’illegittimità di una cessione d’azienda, il lavoratore che pretenda delle somme per il periodo anteriore alla sentenza potrebbe ottenerle per la mera esistenza della pronuncia giudiziale, mentre ove richieda delle somme per il periodo successivo avrebbe necessità di costituire in mora la società cedente.
La Suprema corte, con la sentenza 6902/2023 dell’8 marzo, ha accolto il ricorso della società svolgendo una disamina dei principi che regolano tale materia, partendo dalla distinzione del periodo che precede la declaratoria di illegittimità della cessione e di quello successivo. Con riferimento al periodo successivo alla pronuncia, e richiamando il consolidato indirizzo della Corte, i giudici hanno statuito che, a seguito della declaratoria di illegittimità della cessione e dell’ordine di ripristinare il rapporto di lavoro con il cedente, il rapporto con il cessionario si ritiene instaurato in via di mero fatto e il sinallagma contrattuale tra cedente e lavoratore ceduto riprende effettività e rivivono gli ordinari obblighi a carico di entrambe le parti. Con riferimento a tale arco temporale, traendo spunto dalla pronuncia 303/2011 della Corte costituzionale si è proceduto a una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa che conduce al superamento della regola sinallagmatica della corrispettività, per cui il datore che, nonostante l’ordine giudiziale non ricostituisca il rapporto di lavoro, è comunque obbligato a corrispondere la retribuzione al lavoratore che abbia offerto la prestazione lavorativa (Cassazione, sezioni unite, 2990/2018).
In merito al periodo che precede la declaratoria di illegittimità della cessione, invece, il rapporto di lavoro tra cedente e lavoratore rimane quiescente fino alla sentenza, successivamente alla quale, e per effetto della stessa, la mancata ricezione della prestazione lavorativa nel periodo antecedente assurge a comportamento inadempiente del cedente nei confronti del lavoratore, che può agire in via risarcitoria a condizione che abbia costituito in mora il datore, con la messa a disposizione delle energie lavorative o mediante l’intimazione di ricevere la prestazione. Solo così, infatti, il rifiuto del cedente risulta ingiustificato e l’eventuale danno cagionato suscettibile di risarcimento.
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