Piattaforme digitali: i criteri della proposta di direttiva Ue rischiano di far scattare spesso la subordinazione.

La materia del lavoro mediante piattaforme digitali sta diventando uno dei cardini del dibattito giuslavoristico in Europa: non solo in quanto attualmente nell’Unione europea oltre 28 milioni di persone lavorano mediante piattaforme di lavoro digitali e nel 2025 si stima che questa cifra raggiungerà i 43 milioni (la fonte è il Consiglio dell’Unione europea), ma anche perché si registra una notevole frammentarietà nelle discipline dei singoli Paesi e soprattutto una scarsa attenzione alle condizioni di impiego dei lavoratori, inquadrati in molti Paesi come lavoratori autonomi e dunque spesso privi delle tutele garantite ai lavoratori subordinati.

In Italia il tema è stato oggetto di un significativo intervento legislativo nel 2019 con il Dl 101/2019 (convertito dalla legge 128/2019) che ha da un lato introdotto la nuova tipologia della «prestazione lavorativa organizzata mediante piattaforme digitali» e dall’altro lato previsto per tali lavoratori una specifica serie di tutele (ad esempio la previsione di un accordo scritto, l’obbligo di informazione sulle condizioni applicabili, i criteri di determinazione del corrispettivo e l’obbligo di una copertura assicurativa contro infortuni e malattie professionali).

Anche il recente decreto Trasparenza (Dlgs 104/2022), attuativo della Direttiva Ue 1152/2019 finalizzata a garantire ai cittadini europei condizioni di lavoro trasparenti, contiene un’apposita sezione dedicata agli obblighi informativi in caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati deputati a fornire indicazioni ai fini dell’assunzione, gestione e cessazione del rapporto di lavoro.

La proposta di direttiva e i nuovi criteri

Sempre in ambito europeo si colloca la proposta di Direttiva Ue pubblicata il 9 dicembre 2021 e che sta attualmente alimentando il dibattito comunitario. La funzione della proposta è chiara: contrastare le forme di lavoro precario nell’ambito dei lavori organizzati mediante piattaforme digitali e determinare in base a indici prestabiliti se la piattaforma possa essere considerata un «datore di lavoro».

In sintesi, la piattaforma è considerata un datore di lavoro se sono soddisfatti almeno due dei seguenti cinque criteri: determinazione del livello di retribuzione; supervisione nell’esecuzione del lavoro mediante mezzi elettronici; limitazione della libertà di determinare l’orario di lavoro o di accettare e rifiutare incarichi; fissazione di regole vincolanti nell’esecuzione del lavoro; limitazione nella possibilità di costruire una propria clientela o di svolgere lavori in favore di soggetti terzi.

Se almeno due dei suddetti criteri sono soddisfatti, il lavoro reso mediante piattaforme viene considerato un «rapporto di lavoro» che, precisa la proposta di direttiva, comporta l’applicazione degli obblighi del datore di lavoro in conformità agli ordinamenti nazionali.

Gli effetti sulla legislazione nazionale in Italia e in Germania

In Italia, ciò richiederebbe un coordinamento con la citata legge 128/2019 ma implicherebbe senza dubbio la stringente applicazione delle regole del lavoro subordinato come disciplinato dal Codice Civile e dalla disciplina giuslavoristica vigente: in altri termini, regole chiare su orario di lavoro, disciplina dei riposi, retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, copertura assicurativa, trattamento pensionistico, di disoccupazione e di malattia e ovviamente protezioni in caso di licenziamento.

Ancor più dirompente l’effetto in Germania: in ottica tedesca, infatti, la proposta di direttiva stabilisce criteri inadeguati per distinguere tra lavoratori dipendenti e autonomi. In particolare, si presume un rapporto di lavoro non perché la persona è soggetta al potere direttivo del datore di lavoro secondo la legge tedesca o è inserito nell’organizzazione aziendale, ma perché il contratto è stato concluso tramite piattaforma.

Si tratta di una violazione del sistema, poiché secondo la legge tedesca lo status di dipendente è determinato nell’ambito di una valutazione complessiva e i criteri di determinazione del livello di retribuzione e supervisione del lavoro sono comuni anche ai contratti autonomi e non sono criteri di demarcazione assoluti. E ancora, la presunzione dello status di lavoratore subordinato interverrebbe automaticamente in caso di procedimenti giudiziari o amministrativi, ma ciò contrasterebbe con il principio di indagine nel merito applicabile al diritto tedesco.

Sia in Italia sia in Germania, dunque, l’attuazione della proposta di direttiva potrebbe comportare problemi applicativi non di poco conto. Senza considerare che la creazione di ulteriori ostacoli alla crescita del lavoro nel mondo digitale potrebbe rendere notevolmente più difficile e poco attraente, per le imprese, creare posti di lavoro all’interno dell’Unione Europea.

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