Immediatezza della contestazione disciplinare da valutare nel caso concreto.

La disciplina che regolamenta il procedimento disciplinare prevede che quest’ultimo prenda il via con una contestazione dei fatti commessi dal lavoratore che deve essere immediata.

L’immediatezza è espressione del precetto generale di correttezza e buona fede e, se alla conclusione del procedimento si giunge al licenziamento del dipendente, secondo la giurisprudenza è elemento costitutivo del recesso del datore di lavoro.

Per la Corte di cassazione (sezione lavoro, ordinanza 7467/2023) il concetto di immediatezza va tuttavia inteso in senso relativo, il che vuol dire che non può essere valutato senza tener conto del caso concreto, in cui la condotta del dipendente potrebbe essere più complessa da accertare o vi potrebbe essere una organizzazione aziendale articolata, tale da rendere tempestiva anche la contestazione entro un intervallo più lungo di quello normalmente ammissibile.

Come rilevato dai giudici di legittimità, inoltre, se è vero che il datore di lavoro può controllare i propri dipendenti continuamente, con conseguente possibilità di contestare qualsiasi infrazione immediatamente ed evitarne un possibile aggravamento, è altrettanto vero che si tratta, appunto, di una mera possibilità e non certo di un obbligo, del quale, del resto, non vi è traccia espressa nella legge e che non può neanche essere desunto dai principi di buona fede espressi dagli articoli 1175 e 1375 del Codice civile. Si tratterebbe, infatti, di un obbligo evidentemente in contrasto con il carattere fiduciario tipico del rapporto di lavoro subordinato.

Ciò posto, nel valutare la tempestività di una contestazione disciplinare, occorre prendere come riferimento temporale con cui relazionarsi non il momento in cui il datore di lavoro avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione del dipendente laddove ne avesse costantemente controllato l’operato, quanto, piuttosto, il momento effettivo in cui egli ne ha acquisito piena conoscenza. Come rilevato dalla Corte di cassazione, a tale proposito, deve considerarsi che il fatto che il datore di lavoro si fidi del proprio dipendente e non lo controlli costantemente non può di certo tradursi in un danno nei suoi confronti. Inoltre, non è possibile nemmeno porre sullo stesso piano la mera possibilità di conoscenza dell’illecito rispetto alla conoscenza effettiva né supporre che l’azienda sia tollerante senza avere certezza della conoscenza, da parte sua, degli abusi eventualmente posti in essere dai propri lavoratori.

Nel caso specifico, alla base del giudizio vi era un licenziamento disciplinare fondato sull’addebito da parte del dipendente alla società datrice di lavoro di spese per carburante non riferibili all’attività lavorativa. Alcune spese erano state sostenute nel 2016, ma il datore di lavoro aveva contestato i fatti nel 2017, in occasione delle verifiche dei conti per la chiusura del bilancio 2016. In sede istruttoria era stato riscontrato che i giustificativi di spesa erano consegnati dal lavoratore con cadenza mensile, ma i giudici del merito avevano rilevato che, nel rapporto di lavoro in generale e, soprattutto, quando si consegna al dipendente l’auto aziendale (oltre che la carta di credito intestata alla società), si fa affidamento sull’utilizzo corretto delle attrezzature e non può pretendersi un costante controllo da parte del datore di lavoro, che negherebbe il patto di fiducia reciproca a fondamento del rapporto lavorativo.

Su tale base, la contestazione disciplinare è stata pertanto considerata tempestiva, con decisione confermata dalla Corte di cassazione per tutte le motivazioni sopra riportate (sebbene con la precisazione che la valutazione sulla tempestività costituisce giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità se è stato adeguatamente motivato).

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