Contratti aziendali o di prossimità: l’efficacia non può essere estesa ai lavoratori dissenzienti.

La Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 39, primo e quarto comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148, “nella parte in cui estende l’efficacia dei contratti aziendali o di prossimità a tutti i lavoratori interessati anche se non firmatari del contratto o appartenenti ad un Sindacato non firmatario del contratto collettivo”.

Il caso

In particolare, la Corte d’appello è stata chiamata a decidere l’impugnazione proposta da alcuni lavoratori subordinati avverso la sentenza con cui il giudice di primo grado ha rigettato la loro domanda di condanna della società datrice di lavoro alla corresponsione di differenze retributive per scatti di anzianità, ferie e altri istituti retributivi, le quali non erano state pagate perché un contratto collettivo di prossimità, stipulato dalla società convenuta con un sindacato (SINALV CISAL) ritenuto maggiormente rappresentativo, aveva previsto un peggioramento delle condizioni economiche dei lavoratori rispetto al contratto collettivo di settore.

Il giudice a quo evidenzia che gli appellanti, non solo avevano dedotto di aderire a una organizzazione sindacale diversa da quella che aveva sottoscritto il detto contratto di prossimità, relativo agli anni 2016-2019, ma anche che, attraverso il loro sindacato, avevano espressamente “disdettato” l’accordo medesimo.

Secondo la Corte rimettente, la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale si porrebbe, anzitutto, in contrasto con gli artt. 2 e 39, primo comma, Cost., i quali tutelano la libertà dell’organizzazione sindacale.

La norma, precisamente, lederebbe detta libertà, intesa sia quale libertà del singolo lavoratore di associarsi in formazioni sindacali (costituendo organizzazioni sindacali o aderendo a organizzazioni già costituite), sia come libertà del sindacato di organizzarsi per svolgere la funzione di rappresentanza dei propri iscritti.

Da un lato, infatti, l’efficacia erga omnes degli accordi stipulati da un singolo sindacato violerebbe la libertà dei singoli lavoratori di aderire ad altro sindacato e di esprimere, attraverso di esso, il proprio dissenso rispetto agli accordi medesimi.

Dall’altro lato, sarebbe compressa, altresì, la capacità del sindacato non firmatario di svolgere la propria funzione rappresentativa dei lavoratori dissenzienti. E ciò, persino nell’ipotesi in cui si tratti di un sindacato maggiormente rappresentativo, sul piano nazionale, di quello che ha sottoscritto l’accordo di prossimità, attesa l’attitudine di quest’ultimo a derogare anche alla disciplina contenuta nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Inoltre, l’art. 8 del D.L. n. 138 del 2011, come convertito, violerebbe l’art. 39, quarto comma, Cost., in quanto consentirebbe la stipulazione di contratti collettivi con efficacia erga omnes in difetto della integrazione dei presupposti procedurali e soggettivi da esso previsti, quali la previa registrazione, condizionata alla previsione di un ordinamento interno a base democratica, e la conseguente acquisizione della personalità giuridica.

Normativa richiamata

Come anticipato, la norma oggetto della controversia è rappresentata dall’art. 8 del D.L. n. 138 del 2011, come convertito, “nella parte in cui estende l’efficacia dei contratti aziendali o di prossimità a tutti i lavoratori interessati anche se non firmatari del contratto o appartenenti ad un Sindacato non firmatario del contratto collettivo”.

Tale disposizione stabilisce, al comma 1, che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese, riguardanti la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività; e, al comma 2-bis, che, fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le predette materie e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

La sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 52/2023 del 28 marzo 2023, dichiara le questioni di legittimità costituzionale inammissibili in quanto l’ordinanza di rimessione non contiene, una plausibile motivazione in ordine alla circostanza che nel giudizio principale si controverta proprio di un contratto collettivo aziendale di prossimità ex art. 8 del D.L. n. 138 del 2011, come convertito, dotato di quell’efficacia generale (erga omnes) prevista dalla disposizione censurata, che il giudice a quo ritiene contrastante con gli invocati parametri, e non già di un ordinario contratto aziendale, provvisto di efficacia solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori in azienda, ma che non supera l’eventuale espresso dissenso di associazioni sindacali o lavoratori.

Il giudice rimettente avrebbe dovuto motivare che l’accordo aziendale rientrasse proprio nella fattispecie del contratto collettivo aziendale di prossimità, al quale la disposizione censurata assegna un’efficacia generale nei confronti di tutti i lavoratori interessati, e non fosse invece un ordinario accordo aziendale.

Non è, infatti, sufficiente che in giudizio venga in rilievo un accordo aziendale ordinario; occorre che sia dedotto e ricorra un vero e proprio contratto collettivo aziendale di prossimità di cui sia invocata l’efficacia generale estesa a tutti i lavoratori in azienda.

L’affermazione che l’efficacia generale (per tutti i lavoratori) degli accordi aziendali è tendenziale trova un limite nell’espresso dissenso di lavoratori o associazioni sindacali. L’accordo aziendale “ha forza di legge tra le parti” e la sua efficacia può essere estesa a terzi solo nei “casi previsti dalla legge” ed è affermato in giurisprudenza che “sarebbe illecita la pretesa datoriale aziendale di esigere il rispetto dell’accordo aziendale anche dai lavoratori dissenzienti perché iscritti ad un sindacato non firmatario dell’accordo medesimo” (Cass., n. 27115 del 2017).

L’accordo aziendale ordinario, quindi, non estende la sua efficacia anche nei confronti dei lavoratori e delle associazioni sindacali che, in occasione della stipulazione dell’accordo stesso, siano espressamente dissenzienti. Il loro dichiarato dissenso non inficia la validità dell’accordo aziendale, ma incide sull’efficacia, la quale quindi, in tale evenienza, risulta non essere “generale”.

La Corte Costituzionale ricorda che l’efficacia generale (erga omnes), proprio perché eccezionale, sussiste solo se ricorrono gli specifici presupposti ai quali l’art. 8 la condiziona; presupposti previsti testualmente dalla disposizione censurata e così declinati:

a) occorre che l’accordo aziendale sia sottoscritto da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda;

b) è necessario che tali specifiche intese siano sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali;

c) l’accordo deve risultare alternativamente finalizzato alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività;

d) occorre che l’accordo riguardi la regolazione delle materie inerenti all’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento a specifici settori elencati dall’art. 8, comma 2. Con l’espressa esclusione della materia dei licenziamenti discriminatori, l’accordo può riguardare: gli impianti audiovisivi e la introduzione di nuove tecnologie; le mansioni del lavoratore, la classificazione e l’inquadramento del personale; i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, il regime della solidarietà negli appalti e i casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; la disciplina dell’orario di lavoro e le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro.

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