Bandi di concorso EPSO: illegittimità la limitazione della scelta della seconda lingua alle sole lingue francese, inglese o tedesca.

La Commissione Europea ha proposto due ricorsi di impugnazione dinanzi alla Corte di Giustizia UE al fine di ottenere l’annullamento delle sentenze emesse il 9 settembre 2020 con cui il Tribunale ha annullato due bandi di concorso generale EPSO per:

– la costituzione di elenchi di riserva di amministratori nel settore dell’audit;

– la costituzione di elenchi di riserva di amministratori incaricati di funzioni di investigatori e di capi di gruppi di investigatori nei settori delle spese dell’Unione, della lotta alla corruzione, delle dogane e del commercio, del tabacco o delle merci contraffatte.

I bandi EPSO precisavano che i candidati dovevano soddisfare determinati requisiti relativi a conoscenze linguistiche specifiche:

– un livello minimo C1 in una delle 24 lingue ufficiali dell’Unione europea (lingua 1),

– nonché un livello minimo B2 nella lingua francese, inglese o tedesca (lingua 2), qualificate come le principali lingue di lavoro delle istituzioni dell’Unione.

Nei loro ricorsi, l’Italia e la Spagna hanno contestato la legittimità di due parti del regime linguistico istituito dai bandi di concorso controversi, con cui viene limitata alle sole lingue francese, inglese o tedesca la scelta, da un lato, della seconda lingua del concorso e, dall’altro, della lingua di comunicazione tra i candidati e l’EPSO.

Accogliendo le doglianze dell’Italia e della Spagna, il Tribunale ha rilevato che la limitazione alle sole lingue francese, inglese e tedesca della scelta della seconda lingua costituisce, in sostanza, una disparità di trattamento fondata sulla lingua. Esso ha altresì statuito che tale disparità non era oggettivamente giustificata dalla principale ragione addotta a motivo nei bandi di concorso, ossia la necessità che gli amministratori assunti siano immediatamente operativi.

Sentenza della Corte

Mediante le sue sentenze del 16 febbraio 2023, alle cause n. C-623/20 P e C-635/20 P, la Corte di Giustizia UE respinge le impugnazioni della Commissione, confermando così le decisioni del Tribunale.

La Corte ricorda che l’ampio potere discrezionale di cui dispongono le istituzioni per quanto riguarda l’organizzazione dei loro servizi incontra dei limiti, sicché, in caso di limitazione del regime linguistico di una procedura di selezione ad un numero ristretto di lingue ufficiali dell’Unione, l’istituzione interessata deve dimostrare che tale limitazione è oggettivamente giustificata dall’interesse del servizio, che essa è idonea a soddisfare reali esigenze ed è proporzionata a queste ultime, e che essa si basa su criteri chiari, oggettivi e prevedibili.

Secondo la Corte, il Tribunale ha correttamente verificato se la Commissione avesse dimostrato che la limitazione della scelta della seconda lingua dei candidati alle sole lingue francese, inglese o tedesca era oggettivamente giustificata e proporzionata all’obiettivo di assumere amministratori immediatamente operativi ed ha giustamente concluso che la risposta doveva essere negativa. È corretta la statuizione del Tribunale secondo cui la Commissione non era riuscita a dimostrare che la conoscenza soddisfacente delle lingue suddette fosse indispensabile per raggiungere quest’ultimo obiettivo. In particolare, il Tribunale ha rilevato, giustamente, che la conoscenza delle lingue francese e tedesca non fosse maggiormente giustificata della conoscenza di un’altra lingua dell’Unione.

La Corte conferma, segnatamente, che gli elementi di prova relativi alla prassi interna della Commissione in materia linguistica hanno come unico obiettivo di definire le lingue necessarie allo svolgimento delle diverse procedure decisionali di tale istituzione, ma non giustificano la limitazione in questione alla luce delle specificità funzionali dei posti da coprire contemplati dai bandi di concorso. Tali elementi non permettono di inferire da ciò che esista un nesso necessario tra tali procedure e le funzioni che i vincitori dei concorsi potranno essere chiamati ad esercitare, né che tutte e tre le lingue qualificate come «lingue procedurali» siano effettivamente utilizzate dai servizi della Commissione, della Corte dei conti e dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) nel loro lavoro quotidiano.

Infine, la Corte constata che il Tribunale non ha snaturato gli elementi di prova presentati dalla Commissione, come il regolamento interno di tale istituzione, né ha commesso alcun errore di diritto o alcuna violazione del suo obbligo di motivazione nel suo ragionamento.

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